Soliloquio del dolore – 14

Sono sempre uscito di casa per cercare Lei. Anche quando mi recavo all’università per seguire una lezione oppure per sostenere un esame, in biblioteca per studiare, in libreria per acquistare un volume, nel solito locale per bere una birra con gli amici, il mio principale obiettivo era cercare Lei. Ora che l’ho trovata e persino perduta, non voglio più uscire di casa e non voglio più vedere nessuno. Non ne ho più motivo e uscire servirebbe esclusivamente a farmi sentire ancora più solo e disperato. Mi sono diventati tutti estranei, anche gli amici che conoscevo da vent’anni. Non ho più niente da condividere con loro. Non sono più niente per me, solamente nomi vuoti, sconosciuti.
Al di là dell’ambizione, dell’affermazione ho sempre scritto per Lei, ogni mio singolo testo era dedicato a Lei, e ora che Lei non c’è più, non mi leggerà più, mi lascerò sprofondare nel silenzio. Questo è il mio ultimo testo. Dopo di Lei non avrò più bisogno di scrivere, perché non avrò più alcun dolore da metabolizzare. Io non soffrirò più perché non vivrò più.
O bianco o nero, o caldo o freddo, o niente o tutto – tertium non datur. Ho sempre ragionato e agito, dunque vissuto, in questo modo e non intendo certo cambiare ora, anche perché l’individuo radicale non cambia, l’unica alternativa al suo radicalismo è la morte. Come l’uomo del sottosuolo, nella mia vita non ho fatto altro che portare «all’estremo quel che voi non avete osato portare nemmeno a mezza strada, considerando per di più la vostra vigliaccheria come una forma di buonsenso» [99]. Ho sempre avuto un rapporto intuitivo ed empatico con la realtà, ho sempre indagato la complessità che si cela dietro le apparenze, sotto la superficie delle cose, riconducendo ogni singolo evento e fenomeno alla mia disperazione, e questo approccio esasperante, totalizzante, problematico al mondo mi ha costretto sempre a vivere in una permanente tensione emotiva e cerebrale che cancella ogni possibilità di evasione e non concede tregua.
In ogni evento, individuale e collettivo, ho sempre ricercato l’universale, in ogni testo ho sempre ricercato la verità, in ogni amore ho sempre ricercato la fede e la salvezza, ma, nell’ultimo caso, non ho trovato che delusioni. Per questo motivo avevo giurato a me stesso, molti anni fa, di rinunciare per sempre all’amore, di non aggiungere ulteriore dolore a quello dovuto al semplice fatto di essere, di esistere, terribile effetto collaterale della mia spietata consapevolezza. Ho infranto il giuramento, ho tradito me stesso perché con Lei era diverso, con Lei era come con nessun’altra donna prima d’ora. Questa volta non si trattava di un’illusione, di un moto interiore autoreferenziale, di un salto nel buio, di un azzardo, ma di un rapporto vero, autentico, profondo, intimo e, soprattutto, reciproco, come dimostra la nostra corrispondenza, sebbene ora Lei minimizzi, ridimensioni facendomi sentire ancor più esasperante e ridicolo di quanto in realtà io sia. Con Lei mi sentivo al sicuro, al riparo dal dolore, dalla delusione, perché sapeva comprendermi, perché aveva colto e accettato la mia terribile unicità, perché, soprattutto, rispettando sempre la sua vita, la sua famiglia, le sue scelte passate, che sapevo non avrebbe mai rinnegato, ferocemente coerente tanto quanto me, in questo caso, per la prima volta non chiedevo nulla a una donna, offrivo e mi offrivo senza chiedere niente in cambio. Credetemi, se avessi avuto anche solo il vago sospetto di potermi fare male, avrei interrotto immediatamente la nostra corrispondenza, evitando per tempo questo strazio.
Ogni giorno mi trovo a ripetere a bassa voce, senza rendermene conto, le sue parole più belle e incredibili, domandandomi, ogni volta con rinnovato e doloroso stupore, come sia possibile che un legame capace di ispirare simili frasi, simili pensieri, simili sensazioni non esista più. In una lettera arrivò persino a scrivermi che considerava la sua esistenza completa solamente in relazione con la mia! E come la eccitava e spaventava l’idea di incontrarmi! In una epistola mi descriveva alcuni possibili scenari del nostro incontro: in uno di questi ci immaginava in spiaggia, di notte, vicini, che ci sfioriamo appena mentre Lei tenta confusamente di spiegarmi quanto sia importante per Lei il nostro legame e l’angoscia che le causa il pensiero che un giorno possa decidere di lasciarla andare. Con queste sue frasi, terribili oggi oltreché splendide, devo fare i conti tutti i giorni, e mi è davvero difficile accettare l’idea che quella Lei non esista più, si sia dissolta nel nulla, portandosi via anche il nostro legame. Ma a quella Lei, di cui per fortuna ho visto delle tracce durante il nostro incontro, nonostante il cambiamento, delle tracce alle quali mi aggrappo con tutta la forza che mi resta, resterò sempre fedele e la porterò sempre con me. È quella Lei che ho sempre cercato e miracolosamente trovato, e anche se adesso non esiste più, un giorno potrebbe tornare:

Ho veduto una sola volta l’unica, colei che la mia anima cercava, e la perfezione che noi collochiamo al di sopra delle stelle, che noi allontaniamo sino alla fine del tempo, questa perfezione l’ho sentita presente. Era là, questo essere supremo, là nella sfera della umana natura e delle cose esistenti.
Non domando più dove essa è; è esistita nel mondo e può ritornarvi; vi è soltanto nascosta. Non domando più che cosa sia, l’ho veduta, l’ho conosciuta [100].

Quella Lei avrebbe potuto essere la mia fede e avrebbe potuto salvarmi, ma non c’è salvezza per me su questa povera terra e la fine della nostra storia ne è l’ultima, definitiva, inconfutabile conferma. Quella Lei non esiste più, è andata dispersa, eppure mi apparterrà per sempre, a me solamente. Io la custodirò anche per Lei e se un giorno vorrà recuperarla, saprà dove cercare. Quella Lei è il dono più grande che mi abbia mai fatto la vita, un dono d’inestimabile valore e che custodirò con cura.
A volte, quando sento dentro di me un riflesso della forza e dell’energia perdute, rileggo qualche passo della nostra corrispondenza e lascio che quella Lei riprenda completamente il sopravvento, inondi me e tutto ciò che mi circonda, come una polvere magica. Allora sulle pareti della mia stanza tornano a riflettersi le immagini di una vita al suo fianco, una vita luminosa, ricca, spensierata, talvolta persino sensata. Una vita che non sarà mai e che forse proprio per questo motivo mi appare ancora più dolce e piacevole.
Ci sono momenti in cui vorrei raccontare il nostro incontro nel dettaglio. Ci provo, ma non ci riesco, e non credo che ci riuscirò mai. Ci sono eventi della vita di un uomo che non si possono raccontare, per tanti motivi. Non riesco mai a spingermi oltre questa frase: «La riconobbi da lontano, di spalle, come se l’avessi vista già innumerevoli altre volte». L’attimo del riconoscimento fu tra i più incredibili della mia vita, così emozionante e ricco di aspettative. Scendeva giù dalla fontana dell’Acqua Paola verso San Pietro in Montorio. Era una giornata grigia e umida, dal cielo coperto e opprimente cadeva di tanto in tanto qualche goccia di pioggia. Il primo impulso fu di rincorrerla, raggiungerla e afferrarla per un braccio… Ma basta. Posso ricordare, anzi, sono condannato a ricordare il nostro incontro in ogni singolo dettaglio, ogni sacrosanto giorno, ma non posso raccontarlo, non ce la faccio. Se ci riuscissi e arrivassi in fondo sarebbe per me una seconda separazione, non meno dolorosa della prima, credetemi.
Nella mia atavica intransigenza, non mi sono mai accontentato di una corrispondenza superficiale, mediocre con gli uomini. Nei miei genitori ho sempre cercato degli eroi, negli insegnanti dei maestri, negli amici dei fratelli, nelle donne delle confessioni. La mia ricerca è sempre risultata vana e ormai non ho più alcuna fiducia nei rapporti umani. La colpa non è certo degli altri, ma solo ed esclusivamente mia, della mia natura intransigente, incapace di accontentarsi. È la mia stessa natura a costringermi all’isolamento, all’esclusione, alla solitudine e non esiste cura al proprio modo di essere, non esiste una via alternativa. La desertificazione è il mio esito naturale, al quale ho tentato di oppormi, ma invano ovviamente. Morire solo è il mio destino, fare terra bruciata intorno a me la mia condanna, restare in disparte e guardare gli altri vivere, danzare, ma senza invidia né compassione, anzi, con un malcelato risentimento riflesso del mio risentimento verso me stesso, per il mio essere uomo fuori del comune, misero come tutti, ma più degli altri, perché consapevole di esserlo. Come il monaco si ritira in monastero perché consapevole di essere peggiore di tutti i laici, come insegna Zosima [101], io mi ritiro dalla vita perché consapevole di essere peggiore di tutti gli incoscienti.
Ho sempre sostenuto che ognuno ha ciò che si merita e non cambio idea. Io, evidentemente, merito il niente e se penso alle sue parole, alla sua stima, al suo affetto e alle sue attenzioni durante la nostra corrispondenza, ancora oggi provo stupore. Ciò che Lei mi ha donato nel nostro anno e mezzo è molto più di quanto immaginassi di poter ricevere da una donna, molto più di quanto, in fondo, meritassi. Alla mia insufficienza, alla mia impotenza, alla mia nullità non c’è scampo e se un tempo per questo ho provato rabbia, come Bazarov, oggi non sento che rassegnazione, una rassegnazione piena e palpabile, come il silenzio, sotto il cui abbraccio tutto scompare e io resto nudo, spogliato di tutto, puro essere completamente fine a se stesso.

NOTE

[99] Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, cit., p. 174.

[100] Friedrich Hölderlin, Iperione, traduzione di Giovanni V. Amoretti, Feltrinelli, Milano 2009, p. 73.

[101] «Noi non siamo più santi degli uomini che abitano il mondo solo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi tra queste mura; al contrario, chiunque è venuto qui, fosse solo per questo fatto, ha riconosciuto di essere peggiore di ogni laico, di tutti e di tutto sulla terra… E quanto più un monaco vivrà tra le sue mura, tanto più a fondo dovrà esserne cosciente» (Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, cit., pp. 177-178).

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